Peppe Santangelo: i Big del jazz, un sassofono e… pasta al forno con melanzane!

Peppe Santangelo è un sassofonista jazz siciliano.

Lo presentiamo con questo titolo per un gioco che abbiamo fatto nel corso di questa intervista, un gioco che ci ha permesso di conoscerlo più profondamente e, sopratutto renderlo più simpatico per chi legge. Non sempre un intervista scritta può far conoscere la vera natura di una persona, noi ci proviamo anche così. 

Peppe Santangelo live al Blue Note – Milano
  • Iniziamo con il parlare di te. Da dove provieni e come sei arrivato dove vivi ora?

Risp: Sono nato a Sciacca una cittadina della provincia di Agrigento, molto bella e sul mare. All’età di 18 anni sono andato via perché non mi soddisfaceva quello che mi offriva il mio paese. Prima a Palermo, città che trovai molto attiva, consecutivamente non ancora appagato a Milano dove frequentai per un po’ di anni la Civica scuola di jazz.

Adesso mi sono stabilito a Varano Borghi un piccolo e tranquillo paesino sul lago in provincia di Varese e da lì mi sposto per la mia attività.

  • La stessa domanda te la poniamo per la tua arte. Come ti sei interessato alla musica e chi ha curato la tua crescita musicale?

Risp: Alla musica nonché all’arte e alla letteratura soprattutto sono sempre stato interessato sin da piccolo. Nessuno in particolare mi ha introdotto all’arte, è stata una cosa spontanea.

Credo che molto lo devo alla noia degli argomenti trattati a scuola. Mi annoiavo, non mi stimolavano, per certi versi mi sembrava di conoscere gli argomenti trattati dai maestri e poi dai professori, c’era poca fantasia in quello che dicevano e mi comunicavano, perciò decisi di cercare da me. In effetti fuori scoprii un mondo meraviglioso, che tutt’ora mi affascina.

La stessa cosa è stata per la musica.

Non c’è stato un vero maestro a cui devo un particolare insegnamento musicale o una particolare disciplina di studio.

Ho avuto più che altro maestri preparati sullo strumento ma poco empatici nella filosofia e nell’atteggiamento sull’arte. Un aspetto che per me, col senno di poi, era più importante della musica stessa o dello strumento, ma ero piccolo e non riuscivo a capirlo. Infatti il più grande insegnamento sul mestiere lo ebbi da quello meno famoso, diciamo, ma più connesso alle esigenze dell’essere umano e del mio essere: Francesco Marchese un sassofonista e didatta palermitano.

La maggior parte delle cose, di quelle che so, delle idee, del mio modo di suonare, di comporre, insomma il mio stile l’ho trovato nella mia stanza, sui dischi e sui libri e confrontandomi coi colleghi sempre. È una cosa che impari sbagliando e soffrendoci, non so se ci sia un’altra strada, non credo, ma è stata la mia.

  • Cosa ti ha fatto scegliere il sassofono?

RISP: Un ascolto fulminante di Blue Tain, già suonavo, ma non il sax, il flauto traverso, ero piccolo, credo 13 anni, e trovai questo disco in una edicola di Sciacca. Mi catturò la copertina, e siccome ero curioso e senza soldi ( i dischi costavano e io mettevo i soldi da parte per un mese per comprarne uno) e mi dissi proviamo! Fu amore a prima nota. Mi dissi, io devo suonare quello strumento lì, me lo sento dentro. E quando una cosa suona dentro, non puoi farci più niente, non puoi fermarla.

  • …e il tuo secondo strumento? Quale è?

RISP: il flauto traverso

  • Nella vita, oltre suonare fai altro? (Qui potresti raccontare, ad esempio, se insegni o fai un altro lavoro, ti dedichi alla famiglia o un hobby…)

RISP: Naturalmente come tutti i musicisti italiani, scarsamente o discretamente conosciuti faccio un altro mestiere, l’insegnante. Inoltre faccio il marito, il papà, e tutto quello che comporta avere una famiglia. Adoro giocare a calcio, mia vecchia passione da ragazzo, e poi scrivo, studio, arrangio, ho in progetto e in scrittura un libro su Dexter Gordon. Insomma, se sto fermo mi annoio.

  • Parliamo del disco. E’ la prima volta che componi e guidi una band per un tuo progetto?

RISP:   No, ho un altro progetto collaterale che si chiama Apramada project e che ha già pubblicato un disco nel 2017 dal titolo Darshan. Il progetto andrà avanti nei prossimi anni, perché ho già scritto altri due dischi.

Con l’idea Apramada ho voluto intraprendere un cammino di percorso coscienziale e filosofico molto profondo e diverso dal Peppe Santangelo Nu Quartet.

Ho creato due quartetti, due repertori e due nomi diversi perché avevo tante cose scritte e mi immaginavo due strade parallele legate dal mio stile di scrittura. Un po’ come due binari che portano il treno nello stesso punto di arrivo, la stazione. Ecco, non chiedetemi dove sarà la stazione perché non so dirvelo.

  • Il titolo del disco è “My Name is” ed è un omaggio a grandi nomi del jazz mondiale. Nove composizioni di cui otto legate a musicisti il cui strumento di riferimento non è solo il sassofono…

RISP:  Infatti questo si lega molto al mio cammino di ricerca e di stile. Ho imparato molto di più dalle composizioni di Shorter che dal suo modo di suonare il sax che è molto distante dal mio. Ho imparato tanto dalla concezione ritmica di Monk, da quella melodica di Silver e di Metheny. Per questioni di spazio non ho potuto inserire un brano dedicato a DAVE Holland, ma lo farò nel prossimo lavoro.

Il disco è un tributo, ma anche una dimostrazione filosofica che bisogna prendere solo quello che ti serve dai grandi, non quello che ammiri. La prima scelta ti porta a svilupparti, la seconda a copiarli.

Io ho fatto sempre la prima in tutte le cose della mia vita; ho spesso dovuto lottare per dimostrare che “è possibile” e non conta se non l’hanno fatto gli altri prima di te. Dunque un omaggio personale, un tributo originale, dove compositivamente ed esecutivamente ringrazio, segno il mio cammino e vado avanti per la mia strada musicale. Diciamo che Freud direbbe che “uccido il padre”, in realtà è un gesto molto più profondo e denso di gratitudine. Non uccido nessuno, semplicemente dimostro la mia gratitudine ma sottolineo l’importanza della mia strada e della mia esperienza.

  • L’abbinamento tra il titolo, nome di battesimo di grandi del jazz, è la composizione è ragionato o casuale? (cerco di essere più chiaro: ad esempio, il brano Pat – dedicato a Metheny, ha dei riferimenti tecnici specifici legati a quel musicista?)

RISP: Ho scritto 8 brani partendo a volte da un’idea, il frammento di un’idea o prendendo spunto da una composizione in particolare e allontanandomi da essa per creare il mio mondo, la mia strada, il mio futuro, la mia emancipazione definitiva. Li ringrazio, stringo la mano, e vado oltre.

Dunque per fare alcuni esempi, in Pat prendo liberamente spunto da Question and Answers di Metheny, in Wayne da Ju-Ju e 502 Blues di Shorter, in John da Giant Steps di Coltrane, in Horace da Nica’s Dreams di Silver, etc.etc. 

Insomma tutti i brani scritti da me pagano un tributo a quei grandi compositori, ma ritengo che come Don Chisciotte con il suo autore Miguel Cervantes, abbiano il coraggio e l’autonomia di andare avanti da soli e finalmente prendere vita, perché credo che ci sia in modo inconfondibile il mio stile compositivo a dargli autonomia vitale.

  • Dicevamo prima, otto brani legati a diversi musicisti e compositori. Artisti che hanno segnato il loro tempo ed in modo diverso il jazz (hard-bop, fusion…). A cosa strizza l’occhio il tuo jazz?

RISP: In realtà è molto difficile rispondere a questa domanda e forse non dovrei nemmeno farlo io, in quanto parte strettamente in causa. Non che non sappia in che direzione sto andando, ma essendo una domanda prettamente estetica, rispondere richiederebbe conoscere l’impressione che dà agli altri, magari agli addetti, l’ascolto di questo disco. Ancora è un pò presto in quanto è uscito da pochi giorni e mi auguro che in molti mi scrivano il proprio pensiero e che tanti critici si prendano la briga di scrivere qualcosa. Non importa se pro o contro, importante che siano pareri colti e degnamente motivati.

Per rispondere in modo breve, è un jazz moderno, che strizza l’occhio a generi trasversali, al funky, al rock, all’ R&B,   a tutta la musica insomma. Un jazz che ha smesso da un po’ di utilizzare schemi e strutture di matrice bepbop p hard bop, per emanciparsi ed avvicinarsi o avventurarsi in altri territori più stimolanti.

  • La tua impronta musicale è racchiusa in tutti gli otto brani o solo in quello che finora non abbiamo ancora presentato: Peppe’s Groove?

RISP: Assolutamente in tutti i brani.

Un inedita accoppiata, sicuramente vincente!!!

  • Facciamo un gioco. Sei siciliano, il piatto che preferisci della tradizione culinaria della tua terra?

Risp: domanda difficile, facciamo la pasta a forno con le melanzane. Ma amo la cucina, mia moglie cucina da Dio, e scegliere un piatto preferito è troppo difficile nella ricchezza di pietanze siciliane.

  • A quale dei tuoi brani lo abbineresti?

Risp: A Sonny

Pasta al forno con melanzane alla siciliana
Sonny Rollins da giovane
  • Ora parlaci dei musicisti, dei tecnici e di quanti altri hanno collaborato a concretizzare il tuo disco.

Risp: I musicisti (Gabriele Orsi alla chitarra, Francesco Di Lenge alla batteria, Yazan Greselin all’Hammond e al Fender Rhodes) sono stati meravigliosi, disponibile, abili, complici e partecipi nel condividere le mie idee. Oltretutto, sempre molto preparati sui brani, che non sono, posso assicurare, di facile approccio. Stefano Spina dello studio Orlando Music di Milano è stato il quinto uomo perfetto, impeccabile nella ripresa suono e in fase di mixaggio dove è intervenuto con il suo gusto.

Abbiamo registrato il disco in poco tempo, un giorno e mezzo, in un ambiente molto rilassato e accogliente.

  • Un aneddoto divertente che ti ricordi dei vari momenti di lavorazione del disco?

RISP:  Le tre versioni di Pat, cambiavo spesso idea su quel brano, e la richiesta da parte dei ragazzi su cosa avessi bevuto prima di scrivere John!

  • Da qualche parte abbiamo letto che questo disco lo dedichi a qualcuno di speciale nella tua vita…

RISP: A mia moglie, a mia figlia, ai miei genitori, persone importanti che hanno permesso quello che ero, quello che sono e quello sarò. Li ringrazio per tutto quello che hanno fatto, e per tutto quello che non hanno potuto fare. Perché è importante anche la seconda cosa, che le cose le faccia tu!

  • Cosa non ti abbiamo chiesto ma che tu vuoi raccontarci?

RISP: Siete stati molto esaurienti e attenti nell’ascolto del disco, vi ringrazio. Un caro saluto, Peppe!!!

My Name is” del Peppe Santangelo Nu Quartet, puoi ascoltarlo ed acquistarlo, in formato fisico e digitale, sulla piattaforma di Bandcamp.

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