Questo libro di Stefano Zenni non è stato pubblicato oggi, la prima pubblicazione è del 2016.
Poi, c’è sempre chi non conosce già, o chi ha dimenticato, una notizia, un informazione. C’è anche chi ha bisogno di una spinta per completare una lettura, o per rileggere con gusto un libro che ha già acquistato.
Il libro smonta, in modo mirabile e brillante, tutte le credenze legate al fatto che la musica possa avere delle caratteristiche razziali.
Esiste una “musica nera”? E quale sarebbe la sua differenza rispetto a quella “bianca”? Sappiamo riconoscere un cantante afro-americano al solo ascolto?
Siamo abituati a pensare che la musica possa avere un carattere razziale, etnico o un “colore”, e se vediamo un musicista nero statunitense immaginiamo che sappia swingare con più naturalezza di un bianco, o che intonerà le blue notes con sottigliezze inaccessibili a un europeo e le caricherà di un feeling, di un soul inimitabile.
Ma tutto questo ha un fondamento scientifico, storico o culturale?
Zenni affronta una materia così delicata sia per l’ambito musicale che per quello sociale. Egli fa riferimento a concetti in apparenza lontani dalla musica, dal colorism al passing, e introduce stimolanti riflessioni sui rapporti fra le culture africano americana, ebraica e italiana.
Attraverso un approccio multidisciplinare fra i più diversi campi delle scienze storiche, biologiche e sociali, Zenni dimostra che la musica sa essere un esempio mirabile di collaborazione fra individui e comunità: uno scambio ininterrotto di idee e di risorse che trascende ogni barriera culturale o tentazione classificatoria.